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Casinò: come eravamo... croupier

09 maggio 2022 - 08:57

Come cambiano i giochi e i giocatori nei casinò italiani? Ecco il ricordo di Mauro Natta, per decenni in forze nelle strutture italiane.

Scritto da Mauro Natta

C’era una volta, non è una favola anche se potrà sembrare tale; è solo la narrazione di un tempo che fu e difficilmente tornerà anche se lo spero. D’altra parte possono togliermi tutto, non la speranza!

È il racconto del cambiamento dei tempi raccontato tramite il tavolo della roulette francese e l’evoluzione che tutti quelli della mia età che hanno lavorato in una casa da gioco italiana possono rammentare.

Dal 1966 ho iniziato la carriera di tecnico dopo circa sette anni come amministrativo, da ragioniere mi occupavo di contabilità e bilanci subito dopo gli studi.
Il tavolo all’inizio era doppio e la squadra era composta, tournants a parte, da un capo, quattro impiegati al cilindro e due bout de table.
La partita non era veloce, ed è facile comprenderlo, ma la qualità dei giocatori spesso concorreva a sopperire a questo inconveniente non proprio coerente col pensiero che il tempo è denaro.

Ricordo con nostalgia, non lo posso nascondere, che il pagamento di una sestina alla signora di fronte coinvolgeva anche l’impiegato da quella parte; non si poteva pagare con il lancio dei cinque gettoni della vincita. Anche se fosse stato il più preciso ed elegante la signora non doveva raccoglierli ma li riceveva dall’impiegato vicino.
Molto probabilmente il costo del lavoro e il rapporto costo/beneficio ha convinto gli operatori del settore a passare rapidamente al tavolo piccolo; la produzione era migliore e la maggior rapidità nello svolgimento della partita soddisfaceva in pieno i concessionari privati e/o pubblici all’epoca esistenti. La problematica occupazionale non aveva fatto ancora breccia, come la farà in seguito. D’altra parte sino all'introduzione dei giochi americani nella sala esistevano roulette, trente et quarante e chemin de fer.

A proposito di quest’ultimo gioco ricordo le nottate di fine settimana, in specie in concomitanza con un gala (allora se ne facevano in tutte le case da gioco) allorché arrivavano in sala per recarsi al privè gli invitati, specialmente le signore tutte o quasi rigorosamente in abito da sera.
La partita allo chemin proseguiva sino al mattino e non era così facile, da parte del commissario, annunciare l’ultimo sabot.

Il giocatore di chemin aveva la possibilità, quando si facevano le carte al tavolo, di passare su un altro giocando da fuori, o alla roulette o al trente et quarante. Questo era il primo a terminare, forse, tenuto conto della speranza matematica del banco o della saltuarietà delle puntate.

L'arrivo dei giochi americani, in primis le slot, ha prodotto da una parte l’incremento dell’offerta e dall’altro una ripartizione della domanda su una maggiore quantità di “prodotti”.
Al tempo stesso non si può sottacere che, a datare dal 1999 con l’apertura di Ca’ Noghera, il casinò di Venezia ha raggiunto ricavi ragguardevoli nel novero delle case da gioco italiane.

La roulette americana, che stante il vantaggio del banco molto probabilmente non sarebbe ammessa nel Regno Unito, ha agevolato l’introduzione della fair roulette denominata anche, mi pare, roulette inglese, con il cilindro francese e con un solo impiegato.

Un’altra volta il costo del lavoro pare aver influito sulla preferenza data a questa ultima tipologia di roulette che permette una maggior velocità di svolgimento della partita. Che, se effettuato con gettoni di colore (un colore per ogni giocatore, ne limita il numero ma evita contestazioni) può essere interessante, probabilmente meno in considerazione dei ricavi complessivi.

Ma non sono in discorso i proventi aleatori che potrebbero portare troppo distanti e fuori tema.
L’introduzione dei cosiddetti giochi americani, in particolare la roulette gestita con gli appositi gettoni (bene inteso anche la fair) ha portato una rilevante mancanza: la formazione di impiegati esperti di maneggio con i gettoni francesi e con la paletta, questa rigorosamente in seguito, di possibili addetti allo chemin de fer completi e professionalmente validi.
Pur dovendo doverosamente convenire che il punto banco può ritenersi un valido sostituto, e lo si constata agevolmente dai risultati di Venezia, non nego che il fascino dello chemin, senza cadere nella sola nostalgia per un periodo “rosa”, resiste causando un certo rimpianto; spero non solo il mio.

 

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