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La stagione delle riforme, anche per i casinò

09 agosto 2021 - 10:00

In vista del riordino dell'offerta di gioco in Italia prendono nuovo vigore anche le richieste sui casinò risalenti all'ormai lontano 1996.

Scritto da Mauro Natta
La stagione delle riforme, anche per i casinò

Nel mettere in ordine, si fa per dire, vecchi papiri, eliminandone il 90 e più percento, mi piace ricordare alcune cose; come, ad esempio, uno dei tanti convegni dell’Anit (Associazione Nazionale per l’Incremento Turistico). Mi pare nel 1996 in Liguria ma non rammento il comune.

Un argomento mi ha colpito nuovamente e non poco: la sentenza della Corte Costituzionale, se non erro la prima di due in totale.
Al punto 6 delle “Considerazioni di Diritto” si legge: “Per altro questa Corte, mentre è messa in grado di esaminare per la prima volta profili di legittimità costituzionale che riguardano le case da gioco aperte nel nostro Paese, non può esimersi dal rilevare che la situazione normativa formatasi dal 1927 è contrassegnata da un massimo di disorganicità: sia del tipo di interventi cui è condizionata l’apertura delle case (legge o legge seguita da autorizzazione del Ministro dell’Interno), sia per la diversità dei criteri seguiti, sia infine per i modi disparati con i quali vengono utilizzati acquisiti nell’esercizio del gioco nei casinò. Si impone dunque la necessità di una legislazione organica che razionalizzi l’intero settore. Queste esigenze di organica previsione normativa su scala nazionale (le quali si fanno valere soltanto nell’ipotesi che il legislatore voglia mantenere le deroghe agli articoli 718-722 c.p.), vanno soddisfatte in tempi ragionevoli, per superare le insufficienze e disarmonie delle quali si è detto”.

Le proposte di legge presentate da deputati e senatori nelle varie legislature sono state numerosissime. In particolare quelle presentate nella X legislatura hanno costituito la base di un lungo ed impegnativo lavoro della commissione Attività produttive della Camera, a cui l’Anit ha fornito un costante e sostanzioso contributo. Il risultato è stato la bozza di un testo unificato, frutto di ampie convergenze politiche, dovute alla disponibilità e all’impegno dei Parlamentari di tutti i gruppi presenti in Commissione.
La stessa cosa avvenne nella XI e XII legislatura, senza peraltro mai arrivare alla definitiva approvazione a causa della loro interruzione anticipata.

Scostandomi dal documento dell’Anit mi permetto una considerazione non perché le case da gioco italiane siano numericamente inferiori a quelle che sono posizionate oltre confine ma per la mancanza di precise disposizioni legislative anche dopo tanti anni trascorsi dal 1985.

Le motivazioni che l’Associazione ha sempre portato all’attenzione della politica sono, tra le altre: una organica disciplina della materia, un contributo allo sviluppo turistico, una seria concorrenza con l’estero (si pensi alla attuale diversità in tema di esportazione di valuta, scusate se lo aggiungo).
Ora, l’attuazione delle sentenze della Corte Costituzionale è di là da venire; possiamo però condividere l’auspicio dichiarato dall’Anit che si giunga alla emanazione di una severa e moderna normativa per un comparto così rilevante sul piano economici e sociale.

Un’ultima annotazione riferentesi al 1985; introiti per lo Stato dal gioco legale 15.250 miliardi, dal gioco clandestino 27,500 miliardi. Forse, ma non sono in possesso dei dati, la proporzione dopo la pandemia è favore al secondo.

Dei 20 Comuni che facevano parte dell’Anit ben 10 erano stati sede di case da gioco: non sono qui per perorarne l’incremento ma solo ed esclusivamente per unirmi, anche se tardivamente, ad evidenziare la necessità di una regolamentazione generale del gioco d’azzardo nel Paese.

 

 

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