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Casinò, tutti per nessuno e ognuno per conto suo

25 maggio 2020 - 10:03

Nella gestione dell'emergenza Covid-19, i casinò italiani hanno scelto di procedere in maniera autonoma, una scelta criticata dai sindacati.

Scritto da Anna Maria Rengo
Casinò, tutti per nessuno e ognuno per conto suo

Tutti per uno, uno per tutti! I tre moschettieri di Alexandre Dumas somigliano ben poco ai casinò italiani, che nel delicato e drammatico momento che (non certo da soli) stanno vivendo a causa della pandemia, hanno agito individualmente, nel tentativo, sinora fin qui poco riuscito, di tornare a riaprire, tanto più che da metà giugno in poi, e almeno fino al 1° settembre, non avranno più la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione straordinaria.

Che, come del resto le location di gioco in generale, non l'avrebbero fatto per primi, si sapeva. Ma l'ultimo Dpcm di Giuseppe Conte, quello che ha prorogato la sospensione dell'attività di sale gioco, bingo e scommese, almeno fino al 14 giugno, ha gettato i casinò nello sconforto, E contemporaneamente suscitato una serie di interrogativi, che spaziano dal politico al giuridico. I casinò sono assimilabili alle "sale gioco, bingo e scommesse" citate nel Dpcm? Potrebbe il governo decidere di riaprire solo i casinò, in considerazione della loro peculiarità, anche in termini di disponibilità di ampi spazi che consentono il distanziamento sociale? Potrebbero i governatori decidere autonomamente, magari attraverso un'apposita ordinanza, oppure attraverso una legge regionale, che ha un rango giuridico superiore a un "semplice" Dpcm? Per riaprire, serve un protocollo nazionale, o, in considerazione del fatto che esso riguarderebbe solo tre aziende, non è necessario sottoporre alle istituzioni centrali quello che è stato predisposto?

Tante belle domande, sulle quali ovviamente troneggia il quesito se la politica (nazionale e regionale) ha la volontà a intervenire sulla questione dei casinò, la cui riapertura, se venisse autorizzata, potrebbe forse suscitare qualche presa di posizione da parte degli operatori di gioco pubblico che, si deve ammettere, si sono fortemente battuti, anche con azioni unitarie, per evidenziare il critico momento che il protrarsi del lockdown sta causando alle loro aziende, ai loro occupati, all'erario ma anche alla legalità, con il riaffiorare, da più parti, di un'offerta di gioco illegale che non era mai stata del tutto debellata.

In questo contesto, a più riprese, i sindacati hanno criticato l'operato di Federgioco, che ha dapprima rinviato a data da destinarsi l'incontro che era stato richiesto dall'Ugl Terziario, e che poi, come sostenuto sia dalle sigle veneziane che dallo Snalc, ha peccato in un'opera di coordinamento e sensibilizzazione nei confronti delle istituzioni centrali, che a loro dire sarebbe stata più che mai necessaria.

Come già detto, gli "altri" operatori di gioco sono stati ben più uniti: hanno fatto fronte comune sia tra di loro che con le organizzazioni sindacali. I risultati sono stati nulli, fatta eccezione per il settore dell'ippica, che da oggi, lunedì 25 maggio, riprende le sue corse a porte chiuse. Fatto sta che da più parti si ventila che il 15 giugno potrebbe anche non succedere nulla, e che dunque le location di gioco potrebbero continuare a restare chiuse. Uno scenario dall'impatto forte sui casinò, che dovranno, se non l'hanno già fatto, valutare attentamente se continuare assieme o singolarmente in quell'opera di "persuasione" citata dall'assessore alle Partecipate del Comune di Venezia, Michele Zuin, nel commentare la mozione con cui l'intero consiglio comunale si è mobilitato per chiedere la riapertura del casinò municipale. E allo stesso tempo dovranno, se non l'hanno già fatto, valutare attentamente, assieme o singolarlmente, se ci sono gli estremi perché la loro "specialità" venga riconosciuta a livello nazionale o locale.

 

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