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Casinò, tra business e politica

25 marzo 2019 - 08:52

I Casinò italiani devono affrontare e sfide del mercato, tenendo presente la loro proprietà pubblica.

Scritto da Anna Maria Rengo

Per una volta, per non dire le stesse cose, purtroppo anche infarcite di condizionali e di punti interrogativi, cambiamo argomento e non ci soffermiamo sul Casinò Campione d'Italia e sul suo futuro, se possibile addirittura più incerto del solito, dopo la sentenza della Corte d'Appello di Milano e la richiesta al tribunale di Como, da parte della procura lariana, della riassunzione della causa, con ulteriore richiesta di fallimento della società di gestione e (parziale) presa di distante del ministro Matteo Salvini che, rispondendo alla domanda di un giornalista a margine del forum di Confcommercio, ha detto del dossier Campione: “So che i ministri competenti, che non sono io, ci stanno lavorando”.

Ci concentriamo dunque sulle prossime elezioni amministrative di maggio, e che vedranno tornare al voto i cittadini sanremesi, chiamati a confermare la fiducia all'attuale sindaco Alberto Biancheri o a scegliere un altro primo cittadino. Anche in questa tornata amministrativa, il Casinò sarà gran protagonista, a dimostrazione della centralità che continua ad avere nell'economica cittadina. Non potrebbe essere diversamente, per quei comuni che hanno la “fortuna” (almeno dovrebbe essere tale, ma magari sarebbe interessante sapere che cosa ne pensano i campionesi in questo periodo) di avere un Casinò. Tutto loro, quindi con i relativi incassi e indotto occupazionale, turistico e, perché no, anche culturale che lo stesso porta.

È appunto il caso del Casinò di Sanremo, i cui incassi faticano a restare stabili, ma che vanta un annoso attivo di bilancio, a dimostrazione che la “buona gestione” è possibile, se il Comune non chiede l'impossibile, se la politica non litiga su di esso solo per il gusto di fare polemica di parte, se la gestione è avveduta e non tratta la struttura come una miniera d'oro inesauribile, che quindi può essere sfruttata a piacimento.

Ovviamente, in tempo di campagna elettorale, è inevitabile che i toni si accendano, e che, a seconda degli schieramenti, si magnifichino i risultati ottenuti o si lanciano grida d'allarme, qualificandosi subito dopo come salvatori del disastro attuale. Non fa eccezione Sanremo, dove ha già fatto molto discutere il fatto che Olmo Romeo, attuale membro del consiglio di amministrazione del Casinò (nonché presidente di turno di Federgioco), abbia deciso di scendere in campo a favore del centrodestra, candidandosi con la Lega, anziché per il centrosinistra, come aveva fatto nella passata tornata amministrativa.

Del resto, se la proprietà e addirittura la gestione è pubblica, non potrebbe essere diversamente, per un'azienda destinata a produrrre reddito per le casse pubbliche. È proprio questa la particolarità e la sfida dei Casinò italiani (ma concentriamoci appunto su quello di Sanremo, visto che Saint Vincent e Campione meriterebbero discorsi a parte e Venezia, per le sue mille ricchezze artistiche, dipende sì dal Casinò, ma con caratteristiche e peso differenti): destreggiarsi e fare sintesi tra l'esigenza di fare business e la necessità di rapportarsi a una proprietà che non è appunto lontana, ma presente fin quasi nelle scelte quotidiane. Una proprietà alla quale è chiesto il compito più difficile: non tanto farsi da parte, ma non fare del Casinò un mezzo di scontro o di autopropaganda. Finora, nonostante le polemiche “locali” che nel panorama nazionale sono davvero state di poco conto e decisamente urbane e costruttive, Sanremo ha brillato per lungimiranza, al di là dei colori che hano sventolato su Palazzo Bellevue. Ai posteri il non troppo arduo compito di proseguire così.

 

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