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Casinò St. Vincent, tra vizi di forma e interesse generale

14 luglio 2020 - 09:39

La revoca del decreto di ammissione al concordato da parte del Casinò di St. Vincent apre scenari fortemente preoccupanti anche per il territorio di riferimento.

Scritto da Mauro Natta
Casinò St. Vincent, tra vizi di forma e interesse generale

La Corte d’appello di Torino ha revocato il decreto con il quale il casinò di Saint Vincent era stato ammesso, dal Tribunale di Aosta, al concordato in continuità. Tutto questo per un vizio di forma in quanto non sono stati rispettati dei termini previsti dalla normativa vigente.

Spero di aver riassunto quanto ho potuto comprendere dalla lettura degli articoli di stampa che ho letto in questi giorni. Da non esperto in materia mi permetto osservare che rimane, certamente per me e non credo di essere il solo, difficile comprendere come accadimenti simili possano avverarsi.
Potrebbe dipendere dall’interpretazione della legge? Rammento, anche se sono passati più di sessant’anni, le discussioni con la prof. di diritto in tema di interpretazione che, per mio conto, non poteva che essere una e sola.

Sicuramente, e ho potuto constatare da che parte stava la ragione, avevo torto allora ed anche oggi; sta di fatto che nell’occasione dell’accadimento in discorso la difficoltà accennata mi è impossibile da nascondere e ne sono dispiaciuto.
Se esisteva una domanda di ammissione precedente, non accettata perché mancava in bilancio approvato e, in seguito, la richiesta lo è stata, è piuttosto complicato comprendere quanto accaduto.

Non è certamente questa la sede per una discussione di carattere giuridico alla quale non posso partecipare ma è altrettanto difficile andare oltre ad un commento su chi ha il maggior motivo di preoccupazione: i dipendenti della casa da gioco, del grand hotel Billia e dell’attività turistica in generale. È pur vero che le Terme possono alleviare il disagio, ma da sole non sono, a mio avviso, sufficienti.

Rieccoci all’accostamento turismo e casa da gioco. Ne sono sempre più convinto e non posso che ricordare, tra le motivazioni che si possono effettivamente leggere nei decreti del 1927, 1933, 1936 e 1946 il mezzo per intervenire sull’assestamento del bilancio.

Chiaramente, e non è la prima volta, all’assestamento dei bilanci gli enti pubblici, stante la situazione attuale, non possono provvedervi se non tramite l’occupazione che deriva, direttamente e indirettamente, dalla casa da gioco che insiste sul proprio territorio.
Non mi rimane che constatare e fare osservare come, ancora una volta, l’economia di una regione o di un comune può dipendere dal mantenimento dello sviluppo turistico e dal prosieguo delle attività che detto sviluppo hanno procurato nel tempo.
Una diversa situazione economica da quella in cui versava l’azienda al momento della richiesta di fallimento è fuori discussione. Il risultato del bilancio dell’esercizio 2019, recentemente approvato, con un utile di tutto rispetto non lo si potrebbe non considerare nel contesto attuale.
È più che normale e logico che il sindacato si muova in quanto la preoccupazione per tanti posti di lavoro non può e non deve essere sottaciuta.
Nessuno dimentica i sacrifici imposti dalla situazione nella quale versava la società di gestione, le difficoltà accumulatesi in anni di bilanci chiusi in passivo e il ricordo alle diminuzioni di personale dipendente nell’intento di arginare un china discendente.
Dopo tutto quanto accaduto le dichiarazioni dei sindacati, a tutti i livelli, e dei dipendenti non potevano essere di altro tenore.
Che le sentenze non vadano commentate è una buona norma da seguire; ciò non toglie che nell’occasione, almeno sul fatto e sulle possibili conseguenze, non si è letto alcun intervento della politica che, in passato, si è fatta sentire in argomento casa da gioco.
Non posso che concludere con un sincero augurio che la problematica che si è aperta trovi una congrua conclusione mirato alla considerazione primaria dell’interesse generale.

 

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