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Casinò, come ridurre il costo del lavoro ma non le retribuzioni

19 gennaio 2021 - 10:22

In vista della riapertura dei casinò, occhi puntati su se e come sia possibile ridurre il costo del lavoro senza penalizzare le retribuzioni.

Scritto da Mauro Natta

Riprendo il discorso in merito a come dovrebbero occupare il tempo che separa dalla riapertura i titolari di gestioni di case da gioco.
Correndo il rischio certo di farmi definire anche noioso, intendo chiarire ancora una volta che la motivazione più rilevante la trovo nella natura giuridica delle entrate che, dalle case da gioco, derivano agli enti pubblici titolari delle autorizzazioni. Anche se trattasi di un qualcosa a conoscenza di molti non mi stancherò mai di ripeterlo e vale in qualunque tipologia gestionale.

Reintroduco brevemente il controllo sulla regolarità del gioco e degli incassi e la congruità dei costi perché, in buona sostanza, sono questi gli argomenti che possono garantire il raggiungimento dello scopo per il quale sono state autorizzate le case da gioco.
Sicuramente è importantissimo farsi trovare preparati alla riapertura, è certo che alcuni criteri gestionali e le modalità attuative della politica produttiva sono indispensabili e rivestono un carattere di priorità.

Una volta esaminato il procedimento e quant’altro collegato al fine di produrre ricavi si rende altrettanto indispensabile poterli controllare. Non mi fermo ancora perché ritengo giusto e sacrosanto che l’impiego dei ricavi di competenza della gestione, sia essa a capitale pubblico o privato, debba divenire oggetto di particolare attenzione.

Chiaramente non sono in grado di giudicare i costi di gestione che esulano da quello relativo al personale tecnico, una problematica che ha occupato alcuni anni di appartenenza al sindacato. Una questione relativa al costo appena accennato nasce nel lontanissimo 1983 e si risolve nel 1997 con un decreto che assoggetta a contribuzione pensionistica le mance per il 75 percento. Per uguale importo sono tassate ai fini Irpef.
Non desidero farla tanto lunga ma alcune annotazioni le ritengo doverose e indispensabili.

Una premessa mi corre l’obbligo di scriverla prima di inoltrarmi nell’argomento: un tentativo fondato e che ha precedenti per diminuire (interessa il personale tecnico che, solitamente è la parte più numerosa) il costo del lavoro.
La mancia è una parte della vincita. La sentenza n. 1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, a proposito della mancia al croupier, recita: “Il sistema mancia è retto da un uso normativo - si ricava dall’indirizzo consolidato della giurisprudenza dal 1954 – tanto consolidato quanto idoneo ad assumere un ruolo di fonte secondaria del regime giuridico proprio del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti ed il gestore …”

La vincita al gioco (realizzata nei casinò autorizzati) era esente da imposizione in capo al giocatore vincente. Infatti l’art.10 ter della Legge n. 30 del 28 febbraio 1997 che provvede alla conversione in legge della Finanziaria per il 1997, L. 31 dicembre 1996, n. 669, recita: All’art.30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il sesto comma è aggiunto il seguente comma 1:“ La ritenuta sulle vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate è compresa nell’imposta sugli spettacoli di cui all’art.3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640”.

La Legge Europea 2015, all'articolo 7 (Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea 22 ottobre 2014 …), prevede e stabilisce che le vincite al gioco corrisposte da case da gioco autorizzate in Italia o negli Stati membri dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo di imposta. La precedente normativa italiana prevedeva, al comma 1 dell’art.69 del Tuir (Dpr 22 dicembre 1986, n.917) che le vincite in discorso costituivano reddito ed erano considerati quali redditi diversi (art.67, comma 1, lettera d).

Concludendo non pare logico trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier. In buona sostanza c’è da ritenere che, così operando, si avvia un percorso virtuoso che, evitando di incidere negativamente sul fattore occupazionale diretto e dell’indotto, consente il raggiungimento dell’obiettivo dell’ente pubblico titolare di una casa da gioco di cui ai decreti istitutivi delle stesse.

La mancia di specie è una parte della vincita (Cass. sez. Lavoro, 18/05/1976, n.1776), il 50 percento solitamente è a beneficio della gestione (Cass. n. 672, 09/03/1954). E’ logico ritenere giusto che se la parte maggiore della vincita (quella che compete al giocatore) è esente da Irpef lo stesso vale per la parte minore (la mancia a beneficio del croupier e del Concedente in quanto di natura tributaria).

Il costo del lavoro - incrementato dalla normativa di cui al decreto legislativo n. 314/97 - e la contemporanea diminuzione degli introiti sia lordi contribuisce alla evidente riduzione se non annullamento del risultato positivo di gestione. Se la mancia non è tassabile ai fini Irpef, come avviene per la vincita al gioco nei casinò, non è nemmeno soggetta a contribuzione. Il costo del lavoro, per la gestione, è destinato a calare.

A un risparmio sul costo del lavoro dei croupier corrisponde la possibilità di riversare parte del risparmio su altro personale in occasione di rinnovi contrattuali. I primi hanno già un incremento globale salariale (meno Irpef e minori ritenute pensionistiche che rimangono solo sulla retribuzione).
Un fugace accenno alla previdenza integrativa me lo permetto anche perché nel contesto potrebbe essere considerata. Certamente in forma volontaria da parte del dipendente.

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