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I casinò nell'era post-monopolio: scenari e soluzioni

18 luglio 2019 - 08:35

Sono numerose le problematiche che i casinò italiani devono affrontare per fronteggiare la concorrenza ormai consolidata.

Scritto da Mauro Natta
I casinò nell'era post-monopolio: scenari e soluzioni

Nel numero di dicembre 2016 della rivista Gioco News rileggo con interesse l’articolo a firma di Marco Fiore e precisamente: “Troppi anni di indisturbato monopolio hanno creato una monocultura nel management e anche nei dipendenti di tutti i casinò che, nel momento in cui l’unica fonte di business ha manifestato segnali di crisi, sono stati incapaci di reagire, di diversificare”.
Ed ancora: “Non è solo un problema di incapacità, dopo anni di grande ricchezza del mercato, adeguarsi non è facile, troppo spesso ci si accanisce sulla ricerca di cure e soluzioni, senza sapere che non esiste cura, nemmeno soluzione rispetto alla curva discendente di un prodotto ormai datato che, anche per la rigidità gestionale delle singole aziende, non potrà che continuare a perdere di attrattività con tutto ciò che ne consegue anche in termini di produttività”.

Sono passati tre anni e mezzo ed eccomi ad analizzare una situazione generale che è cambiata in peggio. Si è letto ed ascoltato di rilanci, di giochi nuovi per russi e cinesi, di tantissimi argomenti con i quali non si sono raggiunti risultato di rilievo.
La notizia è fresca; pare che anche i cinesi Vip frequentatori di Macao siano in calo, la quantità sopravanza sulla qualità.
Purtroppo a fronte di bilanci sempre più tendenti al rosso non si è trovato di meglio che ridurre il costo del personale con sacrifici per lo stesso e con penalizzazioni all’occupazione; il modo più semplice o, se volete, meno complicato per risolvere una grave problematica.
 
Allora mi chiedo per quale motivo una soluzione che molto probabilmente era inevitabile non è stata affiancata da iniziative a costo ridottissimo se non zero.
Ad esempio una serie di rilevamenti statistici che non possiamo individuare come effetti collaterali se non positivi in concomitanza con un controllo sul gioco, un marketing fortemente mirato alla produttività, una diversificazione a cominciare dal prodotto, un adeguamento dell’offerta alla domanda, una ricerca di giochi nuovi e un aggiornamento di quelli in uso.
Sicuramente la monocultura che il citato Autore menziona e la incapacità di reazione si sono – alla luce dei recenti accadimenti (Campione d'Italia e Saint Vincent) – concretizzate; poco è stato fatto in difesa di una situazione tale che a ben vedere si evidenzia in una crisi, purtroppo, di qualità.
Mi pare che alcune iniziative potevano prendersi: la disparità di trattamento nell’uso dei contanti (per l’estero 10 mila, in Patria 3 mila Euro), il trattamento fiscale delle mance, la multifunzionalità dei dipendenti collegata alla professionalità e alla meritocrazia, la ricerca di una diversificazione allargata ai servizi resi alla clientela.
 
Sono fermamente convinto che la macchinosità di un management numeroso non abbia contribuito alla ricerca di soluzioni che non hanno nulla di particolare se non suggerite dalla frequentazione del particolare mondo delle case da gioco, spesso in ruoli diversi non collegabili alla necessarie qualità del singolo.
 
LE SOLUZIONI - Certamente quanto scrivo in questo articolo e quanto ho scritto in precedenza sono il risultato di oltre quaranta anni di lavoro nel campo di cui si parla e solo gli ultimi dopo la pensione in posizioni di vertice. Concludo affermando che è solo l’esperienza diretta che produce la ricerca di possibili soluzioni.
 
Sempre più frequentemente si parla di cuneo fiscale; allora perché non applicare la possibilità abbastanza rara di fare confluire maggiore disponibilità al dipendente e, contemporaneamente, diminuire il costo del lavoro? Il che è possiile e, a mio avviso, sostenibile.
Dal 1992 esiste, a livello parlamentare, una vasta documentazione consistente in progetti e disegni di legge presentati per regolamentare le case da gioco esistenti e nuove. C’era chi ne auspicava una per regione ed altri che dividevano il Paese in zone sulla scorta del bacino di utenza. Ma in tutte le iniziative era presente la motivazione a conforto dello svoluppo turistico e dell’occupazione. Non si può sottacere che l’Italia è circondata da un grande numero di casinò dove i nostri concittadini, spesso come turisti, si recano per giocare, forse perché è loro possibile detenere più contanti (come si è precedentemente accennato) o forse per i minori controlli, fiscali e non.
Nelle case da gioco italiane il controllo è severo sia sui contanti e la loro provenienza sia sui frequentatori, in altre parole si può sostenere la certezza sull’età dei giocatori e sul divieto di frequenza se la famiglia lo ha segnalato.
 
Sostenere la presenza di un casinò per regione mi pare eccessivo ma, al tempo stesso, non si può nascondere che molto probabilmente si avrebbe un minor numero di presenze italiane nei Paesi confinanti e/o facilmente raggiungibili.
D’altra parte è innegabile che in tempi di minori possibilità economiche il costo del trasporto e/o del soggiorno va ad incidere pesantemente su una discreta quantità di giocatori.
Anche il turismo potrebbe trarre vantaggio così come l’occupazione da un modesto incremento dei casinò; una più ampia disponibilità nel mondo del lavoro si tradurrebbe in un maggiore consumo interno.

Qualche anno or sono si dava particolare rilevanza alla qualità del servizio; oggi è molto più pesante mantenerne la caratteristica stante i costi, l’incerto ritorno dell’investimento, il rischio di impresa incrementato dalla presenza di pochi Vip che possono produrre il “buco” nel risultato.
In tema di buchi non posso fare a meno di tornare su un argomento abbastanza noto nell’ambiente: la natura giuridica dei debiti di gioco. Ciò dovrebbe suggerire agli operatori del settore un intervento legislativo atto a cambiare – così come accennato in diversi progetti e disegni di legge nel 1992 – che potrebbe vedere un uso più tranquillo di determinati titoli di credito utilizzati per l’acquisto di fiches.
 
OBIETTIVO QUALITA' - Desidero chiudere con un appello alla qualità, non tanto quella caratterizzata da un alto costo dei servizi, quanto dalla differenza tra il gioco che si svolge con un contatto umano e l’altro.
Orbene, la sensibilità nei confronti della clientela, verso il mercato in ogni forma di presentazione del prodotto offerto, verso tutti coloro che nell’azienda operano, nei confronti del cambiamento che dobbiamo ritenere non più rimandabile, non possiamo definirli se non aspetti della qualità.
Personalmente non riesco a pensare che quanto precede possa essere differente a seconda della tipologia aziendale considerata; è per questo motivo che invito gli operatori del settore a provare l’immissione di certi principi nell’organizzazione del lavoro e della produzione. Tanto più che il costo è uguale a zero!
 
Le trasformazioni economiche che purtroppo oggi si continuano a vivere hanno fatto approdare l'imprenditoria su una realtà che non accenna, se non minimamente, a cambiare. Questa situazione costringe a rivedere la modalità di gestire un’azienda e, forse più di un’altra, quella in discorso ha necessità di un adeguamento velocissimo ai tempi nei quali viviamo.
 

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