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Casinò, in dieci anni persi 281 milioni di euro di incassi

25 maggio 2018 - 09:05

Come si presentava il mercato nazionale dei casinò nel 2008 e come nel 2017.

Scritto da Mauro Natta
Casinò, in dieci anni persi 281 milioni di euro di incassi

Alla fine del 2008 i ricavi delle Case da gioco italiane erano 495 milioni, nel 2017 tantissimi in meno, 281 circa. Per la precisione: Saint Vincent da 102 a 57, Venezia da 188 a 90, Campione da 121 a 91 e Sanremo da 83 a 45.
Sicuramente trattasi di un calo notevolissimo e, ancor più, se vediamo i dati del 2002 per un totale di 532 milioni.
È più che logico, da parte delle gestioni, aver operato sulla riduzione dei costi, in primis quello per il personale; l’incidenza di detto onere sul totale dei ricavi non era più tale da poter essere sopportato.
Un altro dato è interessante per meglio comprendere il trend negativo che le case da gioco hanno vissuto: la qualità, purtroppo, in costante calo.
Relativamente allo scadimento della qualità si osservano i ricavi derivanti dalle slot che calano modestamente, mentre i cosiddetti giochi lavorati, in specie quelli tradizionali, subiscono una diminuzione sensibile.
Non credo di esagerare se indico una generale propensione ad incidere sul costo del personale piuttosto che sull’incremento dei ricavi, mi sia permesso richiamare il recentissimo piano industriale di Sanremo, recante un ampliamento dell’offerta. Al momento non c’è in prospettiva un qualche elemento di incentivo.
È verissimo che i casinò sono i luoghi più controllabili e controllati dove un giocatore può essere non ammesso al contrario di una sala giochi, dove per accedere è obbligatorio presentare un documento di identità valido; è altrettanto, se non vero, possibile che una diminuzione delle sale giochi potrebbe essere di qualche utilità, ma non è ancora sufficiente.

Si parlava, quando al Parlamento furono presentati diversi progetti e disegni di legge sulle case da gioco in ossequio alla prima sentenza della Corte Costituzionale, di alcuni argomenti che sono ancora più attuali.
Si è quasi tutti d’accordo ad indicare i casinò quali soggetti di attrazione turistica ma al tempo stesso necessita rammentare che da una parte stanno le entrate tributarie a favore dell’ente pubblico, dall’altra non bastano le possibili entrate cui ho fatto cenno. È indispensabile rammentare la normativa, più che giusta, sulla limitazione dell’uso del contante, la natura di obbligazione naturale del debito di gioco (art. 1933 cod. civ.) che una deroga potrebbe, intervenendo, incrementare il ricorso al cambio assegni, l’assicurazione da porre in una legge organica sulle Case da gioco per la quale, sempre che non si tratti di violazioni delle norme penali, le notizie assunte nelle case da gioco non possono essere utilizzate a fini fiscali.
In merito al fisco desidero rammentare il trattamento delle vincite di specie (Legge Europea del 2015) che potrebbe trovare applicazione nelle case da gioco al riguardo della tassazione dei cosiddetti proventi accessori. Non mi pare essere distante nell’affermare che se la parte più grande (la vincita) è esente, la parte molto più piccola (la mancia) dovrebbe avere lo stesso trattamento. Anche ciò è indirizzato alla diminuzione del costo del lavoro.
Concludendo posso vedere un futuro più roseo per il settore produttivo in discorso, un futuro che, unitamente ai benefici diretti per l’ente pubblico titolare della autorizzazione, veda un reale incremento del comparto turistico alberghiero e dell’occupazione diretta e dell’indotto.
Un atteggiamento cautamente ottimista è comprensibile e, al tempo stesso, condivisibile; lo sarebbe ancora di più se qualche iniziativa della politica prendesse in considerazione il settore produttivo in argomento.
 

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