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Come siamo ridotti: quando e perché?

09 gennaio 2018 - 09:33

L'analisi sui fattori della crisi delle case da gioco italiane realizzata dall'esperto di gaming, Mauro Natta.

Scritto da Mauro Natta
Come siamo ridotti: quando e perché?

Non è il caso di andare più indietro nel tempo. Dal 1995 al 2004 il mercato è sempre stato in crescita, spinta, dall’agosto 1999, dall’apertura di Ca’ Noghera a Venezia.

 

Dal 2004 sino ad oggi (fine 2017) il mercato dei casinò ha sopportato e continua a farlo una crisi profonda dovuta sostanzialmente a due fattori: la situazione economica e finanziaria e, in minor misura ma non trascurabile - questa è una mia convinzione - alla concorrenza del gioco pubblico (2004-2005) e, forse, alla mancanza di norme precise mirate a regolamentare il particolare settore, purtroppo, da molti anni malgrado le sollecitazioni da parte della Corte Costituzionale. Probabilmente, sempre che sia sufficiente, c’è necessità di un serio intervento strutturale.

Non si può non rammentare che il divieto di fumo ha prodotto, almeno subito, conseguenze molto negative sulle presenze, parzialmente mitigate dalla predisposizione di sale per fumatori. Nemmeno non si può fare a meno di considerare - e non è la prima volta che ne scrivo - che la natura giuridica dei debiti di gioco impedisce il ricorso al cambio assegni bene inteso aggravato dalla crisi in atto dal 2007.
D’altra parte la limitazione dell’uso dei contanti non ha contribuito e non contribuisce, unitamente a quanto sopra, alla realizzazione di risultati atti a formare un bilancio soddisfacente per i titolari delle autorizzazioni alla casa da gioco sul loro territorio, in specie, se si pone mente alle motivazioni per le quali sono state istituite.
 
Gli importi relativi ai ricavi del 2004 e del 2017 evidenziano un calo enorme e con questo l’incidenza sempre più alta dei costi che ritroviamo nei bilanci in rosso. Questo per tre case da gioco su quattro. L’incidenza delle slot sui ricavi totali la dice lunga anche sulla qualità, la drastica diminuzione delle presenze, invece, evidenzia, mi pare, la concorrenza di cui si diceva.
 
I dati relativi a Saint Vincent, casinò che mi interessa di più, forse, per motivazioni affettive avendovi lavorato dal 1959 al 2000, non sembrano discostarsi da quelli del mercato nazionale. Per il 2017: giochi lavorati, slot e totale ricavi rispettivamente: 24.920.123, 32.323.689, 57.343.812.
 
La mia memoria ha usufruito di un aiuto e, secondo i parametri di quando Berta filava, il rapporto tra introiti lordi di spettanza della gestione ed il costo del personale dovrebbe arrivare al 54% circa; oggi è di molto superiore. Le soluzioni sono due, o si incrementano i ricavi o si diminuiscono i costi; sino ad ora mi pare che la seconda ipotesi sia stata quella seguita.
 
Ma come si è arrivati ad avere l’esubero di personale che oggi tutti trovano quale maggiore fattore negativo dell’attuale situazione?
 
Come sempre mi permetto di esporre la mia personale convinzione e, come di solito, non pretendo di avere la verità in tasca; forse, in parte.
 
Correva l’anno 1977, precisamente il 6 dicembre, e il Consiglio regionale era riunito anche per rinnovare il contratto relativo alla gestione della casa da gioco di Saint Vincent in scadenza il 14 febbraio 1978.
 
Nel 1981 furono introdotti i giochi americani con gestori diversi; personalmente lo trovo e lo trovavo un errore anche se da parte datoriale fu una scelta dettata, forse maggiormente, dalla convinzione che dividendo è più facile comandare. E questo poteva forse anche andar - ma non ci credo nel modo più assoluto - bene sino a che la gestione è stata affidata al privato anche con due società diverse. Recentemente si sono visti scioperi limitati ad un solo o due reparti.
 
Il primo del mese di luglio 1994 la gestione passò alla Regione e il mantenimento di due contratti di lavoro persiste ancor oggi mettendo in conflitto, o se si preferisce, in concorrenza giochi simili. E non solo perché così operando, a mio avviso, non si va incontro alla esigenza primaria di adeguare l’offerta alla domanda. Effettivamente si parla di unire i contratti nel piano di rilancio, fortunatamente se ne parla.
 
Con un contratto unico sarebbe stato molto più semplice lavorare per una effettiva multifunzionalità del personale addetto alla produzione. Mi pare che a questa affermazione vi sia poco da opporre anche perché - ed è incontrovertibile, sempre a mio parere personale - una soluzione che coniugasse unicità di contratto di lavoro e multifunzionalità avrebbe potuto calmierare numericamente i reparti, quindi limitare il numero dei dipendenti e da parecchio tempo.
 
Ho già scritto in merito al modo di fare confronti per periodi “strani”; ma tanto per curiosità sono andato a verificare la natura del miglioramento dall’aprile al dicembre 2017 nei confronti del 2016: + 512.554 per le slot e + 594.978 per i giochi lavorati, per un totale di 1.107.232. Forse i dati in mio possesso sono errati. 

L'AUTORE – Mauro Natta è stato segretario nazionale dello Snalc e ha lavorato nei casinò di Venezia e di Saint Vincent.  

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