skin

Casinò e turismo, un matrimonio da celebrare?

31 luglio 2017 - 07:46

L'estate riporta d'attualità il tema del connubio tra casinò e turismo, sul modello dei resort attuato in numerosi paesi al mondo.

Scritto da Anna Maria Rengo
Casinò e turismo, un matrimonio da celebrare?

L’accoppiata hotel casinò è un grande classico e non serve andare in vacanza in qualche meta esotica, come a qualcuno tra i più fortunati di noi potrebbe capitare in questo periodo, per rendersene conto. Basta, per esempio, varcare il confine italo sloveno per trovarsi nella Las Vegas d’Europa, quella Nova Gorica dove il gruppo Hit ha fatto le sue fortune con il Park prima e anche il Perla poi. Strutture in grado di accontentare i gusti di un’intera famiglia, o di un gruppo di amici in cerca di svago, divertimento, buona ristorazione, il tutto condito con un pizzico di fortuna, o con la ricerca di essa. Strutture in grado di potenziare l’offerta turistica di un territorio, di renderla più appetibile, e d’altro canto di sdoganare il concetto di gioco d’azzardo, facendolo diventare, da pericoloso protagonista, componente di un pacchetto complessivo.

LA PROPOSTA BRAMBILLA - Qualche anno fa, quando era ministro del turismo, Michela Vittoria Brambilla aveva proposto (ma in realtà il testo non era mai approdato in consiglio dei ministri né era mai stato ufficialmente presentato) di concedere agli hotel di lusso la possibilità di aprire al loro interno dei casinò. Come detto, anche se il testo era bello e pronto, non c’era stata alcuna presentazione ufficiale: i suoi capisaldi erano bastati a scatenare un fiume di polemiche e di preoccupazioni, che forse negli anni a seguire sarebbe stato meno ampio, anche in considerazione dell’intervenuta consapevolezza della necessità di delimitare il perimetro e l’offerta di gioco, riducendo soprattutto, almeno questa è l’intenzione del governo, quello che si trova nei locali pubblici. Aprire nuovi casinò, in questo contesto, potrebbe avere il suo perché, anche se il progetto Brambilla era principalmente rivolto ai clienti degli hotel e non a tutti.
In ogni caso, numerosi esempi esteri mostrano l’unicità del modello italiano, dove esistono solo quattro case da gioco, di grandi dimensioni, tutti di proprietà pubblica e di gestione (almeno per il momento) pubblica e la cui gestione, sia sotto il profilo degli incassi che quella bilancistica, è in perdita. Un modello che va dunque rivisto, perché non è accettabile (né ai sensi della legge Madia possibile) che società che non erogano beni o servizi fondamentali, ma per definizione accessori e voluttuari (qualcuno utilizzerebbe definizioni più drastiche) siano pure in perdita e costituiscano almeno formalmente (in considerazione del quantum dovuto alla proprietà) un costo per la collettività.
Mettiamoci poi, tornando allo spunto iniziale, che in Italia non sono state colte tutte le potenzialità del gioco d’azzardo. Quelle “buone”, legate dunque allo sviluppo turistico e occupazione di un territorio. Una riflessione senza preconcetti, anche nel valutare le esperienze altrui, sarebbe senz’altro utile alla ridefinizione dell’attuale modello casinò, che secondo molto ha mostrato i suoi limiti e di aver fatto il suo tempo.

 

Articoli correlati