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Casinò, business sì o no? La difficile classifica per quelli tricolori

11 aprile 2016 - 07:43

Comparare l'andamento dei quattro casinò italiani è un'ardua impresa a causa di alcuni 'pesi' che non sono identici tra l'uno e l'altro.

Scritto da Anna Maria Rengo
Casinò, business sì o no? La difficile classifica per quelli tricolori

Gli amanti delle classifiche si trovano sempre in difficoltà, se possiedono un po’ di onestà intellettuale e di rudimenti di matematica, al momento di tracciare quella della buona gestione dei casinò italiani. Sono solo quattro, quindi il compito all’apparenza non è sterminato, eppure le variabili che ci sono in campo rendono la ‘scaletta’ opinabile, quando si vuole eleggere il ‘miglior’ casinò dell’anno, o del mese! Quali sono infatti i parametri che bisogna prendere in considerazione?
Alcuni sono comuni a tutti, e quindi facili da comparare: incassi, ingressi, in termini assoluti (quindi quota di mercato e sua evoluzione) e come variazione percentuale rispetto al mese precedente (un indicatore poco utilizzato, a ragione, in Italia) o rispetto all’omonimo dell’anno precedente. O ancora: progressivo annuo e sua evoluzione, in riferimento all’anno solare o ai dodici mesi precedenti. Tralasciando la ‘specialità’ dell’attività, che è sotto gli occhi di tutti gli addetti ai lavori, questi parametri sono validi per tutti. Quando però si va a mixarli con i dati di bilancio, la situazione si fa decisamente più complicata. I casinò possono infatti andare bene come incassi, ma avere un bilancio in perdita. O, naturalmente, viceversa. Un’anomalia che non è certo appannaggio solo dei casinò: in tutte le aziende ci possono essere gestioni dissennate che fanno sì che, a fronte di buone vendite, il bilancio sia in rosso. Nei casinò però c’è una variabile in più, ossia il quantum da corrispondere alla proprietà, quindi all’ente pubblico di riferimento.

A parte alcuni ‘aggiustamenti’ che possono essere fatti in corso d’opera, a seconda dello stato di salute del casinò o delle casse comunali o regionale, si tratta di un ammontare predefinito, di cui i manager delle case da gioco devono o dovrebbero tenere conto. Questo è vero, verissimo, tuttavia è molto più difficile far quadrare un bilancio (e tenere alti gli incassi) quando si devono dare alla proprietà il 30 percento degli incassi (è solo un esempio) rispetto a quando glie se ne devono dare solo il 10 percento. Questo è un discorso teorico, che non tiene conto di altre variabili come il costo del lavoro o il cambio franco-euro, una variabile che è peculiare (e dubitiamo che ne sia contentissimo) solo del Casinò Campione d’Italia. E si tratta di un discorso che prelude non allo stilare la classifica dei casinò, ma a evidenziare come il loro riordino normativo, un progetto sul quale il governo sta lavorando da tempo, potrebbe portare a una uniformità di trattamento, anche impositivo, in grado di mettere tutti sullo stesso piano, sotto il profilo degli oneri e degli strumenti di gestione. Il riordino, quindi la nascita di una società di gestione a controllo statale, avrebbe altri importanti benefici, come la possibilità di realizzare economie di scala e importanti risparmi organizzativi (evitando inutili ‘duplicazioni’) e sicuramente costituirebbe una fortissima spinta all’uniformità. Del citato trattamento impositivo, ma anche per quanto riguarda il costo del lavoro, un tema delicatissimo che apre ulteriori spunti di riflessione, e, si suppone, di scontro, tanto più che il contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle quattro case da gioco italiane è stato infine siglato dalla sola Federgioco ed è rimasto inattuato negli ambiti aziendali.

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