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Corradini: 'Serve una svolta per il Casinò di Venezia'

24 agosto 2016 - 07:49

L'ex amministratore delegato del Casinò di Venezia, Gianni Corradini, racconta la storia della nascita di Ca' Noghera e analizza le prospettive del settore delle Case da gioco.

Scritto da Anna Maria Rengo
Corradini: 'Serve una svolta per il  Casinò di Venezia'

Sarà festa, domani 25 agosto, per il 17esimo compleanno di Ca' Noghera. A raccontare a Gioconews.it la nascita e la realizzazione dell'idea di una nuova sede di terraferma per il Casinò di Venezia è Gianni Corradini, allora amministratore delegato della Casa da gioco.
"Quando nel gennaio del 1998 mi fu consegnata l’azienda la situazione era disastrosa. L’attività si svolgeva nel palazzo di Cà Vendramin dove potevano entrare solo 800 persone, se si pensa che i dipendenti erano 200, lei capisce quali prospettive di reddito poteva avere. Per alcuni mesi, ritornando da Trieste dopo le lezioni, deviavo per Nova Gorica e rimanevo ore a studiare quei casino e la clientela. Compreso il problema, andai dal sindaco di allora professor Massimo Cacciari e gli dissi che la sola speranza di successo era fondata su una struttura in terraferma. Gli mostrai i dati raccolti e le proiezioni. Lui in un momento di follia profetica mi disse: “Ok comprati un immobile in terraferma'. Scelsi una vecchia discoteca che si trovava proprio sulla direttrice per le spiagge, a pochi metri dall’autostrada, praticamente sulla pista dell’aeroporto, e in sei mesi (contando anche un periodo di sospensione dei lavori perché i vigili del comune avevano sigillato il cantiere, dopo un crollo) il casinò in Jeans era pronto per l’apertura. Il giorno 25 agosto del 1999, con gli operai ancora immersi nell’acqua fino alla cinta nella piscina, per terminare la dipintura, con i tecnici della climatizzazione nel controsoffitto come topi, si aprì quel casinò che usciva da tutti gli schemi e dalla consuetudine dei paesi europei".

Qual era, all'epoca, la situazione del Casinò di Venezia e quale contributo la nuova sede ha dato e continua a dare al business complessivo?
"La situazione nel 1997 era drammatica, praticamente non c’era proprio l’azienda, pensi che non si stampavano nemmeno i cedolini paga dei dipendenti, nel periodo estivo il casinò veniva caricato su 50 barche da trasporto e trasferito al Lido, dove in quattro mesi si accumulava una perdita di circa quattro miliardi delle vecchie lire. La sovraintendenza ci impose di contare le persone che entravano per garantire la stabilità del palazzo sul Canal Grande. Il solo modo per farlo era quello di contare i cappotti consegnati al guardaroba (quando faceva freddo ovviamente). Il sabato dovevo tenere un centinaio di clienti in attesa, al freddo nel cortile interno. Pochi dipendenti parlavano in italiano, la lingua più usata nelle sale era il dialetto veneziano".
Ritiene che oggi il Casinò di Ca' Noghera sia al passo con i tempi, sia strutturalmente che come offerta complessiva?
"Sono passati 17 anni e dopo 17 anni qualsiasi vetrina deve essere cambiata se non si vuole fallire. Andava bene allora, perché avevo scoperto come combattere la concorrenza della Slovenia e della Croazia, ma nel frattempo quei Paesi hanno costruito altri casinò, più moderni e attuali. Andava bene perché si poteva tentare la fortuna con poche lire. Non va bene ora perche ci sono oltre 35.000 case da gioco uguali in Italia (mi riferisco alle sale slot ovviamente) proprio sotto casa".
Quali difficoltà e opposizioni anche politiche, nel corso del suo mandato come Ad del Casinò, ha incontrato?
"Penso che per un elenco simile dovrei occupare tutto il suo quotidiano online per i prossimi 12 anni. Le basti pensare che subito dopo l’acquisto della discoteca il sindaco Cacciari mi telefonò a casa e mi disse 'non avrai mica firmato il contratto?'. Il contratto era stato firmato ed era stata versata una caparra. Per tranquillizzare il Consiglio Comunale, che quella sera gli contestava l’operazione, dovetti dirgli che avrei restituito la caparra e che mi sarei tenuto l’immobile. La cosa tranquillizzò il Consiglio e quella sera passo il Casinò di Cà Noghera. Pochi giorni dopo l’apertura il giudice Felice Casson pensò bene di incriminare il sottoscritto, il prefetto di Venezia e il Direttore Generale del Ministero dell’Interno per associazione a delinquere e gioco d’azzardo per quel casinò, secondo lui senza autorizzazione. In primo grado fummo assolti. Ma io non accettai la prescrizione e feci appello, il risultato fu una assoluzione perché non esisteva proprio il reato. Mi fermo quì o finirei per annoiarla".
Se ripensa alla sua esperienza complessiva come Ad, quale bilancio trae e come giudica le prospettive future del Casinò veneziano?
"Io ho dato lavoro ad oltre 300 ragazzi, tutti neodiplomati, ho portato al comune di Venezia oltre 600 milioni di euro in quattro anni, ho introdotto rigide regole di sicurezza e sorveglianza, ho insegnato agli altri casinò la strada, tutto questo è positivo. Dall’altro lato della medaglia ci sono lunghi anni di sofferenza e di disperazione, culminati con il sequestro dei miei familiari l’11 febbraio del 2002 e questo è quanto di più negativo si può immaginare. Il casinò di Venezia nella situazione in cui si trova non può avere un futuro. Apprezzo quanto sta facendo questo consiglio, finalmente c’è qualcuno che ha compreso l’azienda. Apprezzo la scelta del nuovo direttore, almeno è un esperto del settore. Ma non si possono fare le nozze con i fichi secchi".
In questo periodo si parla molto di riorganizzazione dei casinò: dalla nascita di una società unica alla privatizzazione delle società. Qual è la sua opinione sulla opportunità e fattibilità di simili ipotesi?
"Bella domanda! Come sa nel 2001 io predisposi una proposta di legge che consentiva l’apertura di un casinò in ogni regione. Ora posso dirle che sono favorevole all’apertura di un casinò in ogni comune o frazione o quartiere che ne faccia richiesta, non c’è motivo di concederlo al bar del signor Rossi e di negarlo al comune di Trieste. Quello che serve è una legge che ne regoli la concessione e la gestione. Una parte degli incassi andrebbe allo Stato, una parte al Comune. I dipendenti dei casino esistenti potrebbero essere dei validi manager dei nuovi e le società che oggi gestiscono i quattro casinò italiani potrebbero concorrere alla gestione dei nuovi. Non capisco perché la società che gestisce l’aeroporto di Venezia possa gestire anche quello di Treviso, Verona e perfino Pantelleria e il casinò di Venezia non possa gestire quello di Molfetta".

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