skin

L’esperto di gambling Dario De Toffoli analizza il mercato dei casinò

09 gennaio 2016 - 05:18

De Toffoli analizza le case da gioco e le prospettive future dal punto di vista gestionale del mercato in questione. 

Scritto da Anna Maria Rengo

Ottimismo, ma con estrema prudenza. I neanche troppo timidi segnali di ripresa che hanno caratterizzato buona parte dei casinò italiani nell’ultimo scorcio del 2015 (in attesa dei dati di dicembre, ovviamente non disponibili al momento di andare in stampa per il numero di gennaio) sono il fondamento da cui parte l’esperto di gioco Dario De Toffoli per esaminare l’andamento del settore, le sue criticità e le prospettive per l’anno appena iniziato.

 

“Ben vengano segnali positivi, ma sono piccoli segnali, probabilmente dovuti a fattori casuali più che strutturali. Ricordiamo per esempio che Venezia in dieci anni ha dimezzato gli incassi, portandoli da 200 a 100 milioni. Se anche in novembre c’è stato un piccolo incremento di qualche centinaia di migliaia di euro in alcuni settori (e comunque un calo in altri)… mi sembra un po’ presto per brindare, anche perché in parecchi altri mesi del 2015 il trend è stato comunque negativo. Festeggeremo se e quando saranno davvero fatte riforme strutturali e gli incassi annuali torneranno a salire nell’ordine delle decine di milioni”.
Quale ruolo i casinò esistenti possono e devono avere nell’attuale contesto di gioco pubblico e a quali condizioni potrebbero aprirne di nuovi?
“A mio parere in Italia i casinò dovrebbero avere un ruolo molto importante e anche molto utile nella nostra società. Più che un problema potrebbero essere la soluzione. Provo a spiegarmi. L’Italia detiene una sorta di record mondiale negativo, la maggior spesa pro-capite per gaming machines fuori dai casinò. L’ubiquità e la troppo facile accessibilità di queste ‘macchinette’ ha prodotto un grave decadimento del tessuto sociale, soprattutto a livello delle fasce più deboli: sto parlando della corrente epidemia di azzardopatia, consapevolmente diffusa da un esplosivo cocktail che coinvolge politica, affari e criminalità… e mi fermo qui, che non è questo l’argomento. I casinò invece dovrebbero non solo tornare a crescere, ma anche configurarsi come un nuovo e più avanzato modello gestionale del gioco per denaro, esempio di equilibrio fra economia ed etica: la pulsione per l’azzardo è ineliminabile (né io sono contrario all’azzardo tout court, ci mancherebbe!), è dunque nel suo governo consapevole e nell’interesse della collettività che si gioca la vera partita. Gioco, divertimento e un ambiente accogliente, controllato e sicuro che offra anche tutta una serie di altri servizi e attrazioni che vanno al di là dell’azzardo. E basta con le slot fuori dei casinò, che tutto sono meno che convenienti! Ma i casinò italiani di oggi purtroppo non sono quello che vorrei fossero: sono carrozzoni tipicamente italiani, inefficienti, clientelari, veri templi della mala-gestione con forti aree di privilegio dure da sradicare.
E quindi da una parte sì, credo che si dovrebbe liberalizzare l’apertura di nuovi casinò e invece chiudere le sale slot: tutto il paese ne beneficerebbe e pure l’industria del gioco per denaro che opererebbe in regime di libera concorrenza. Ma credo che questo sia destinato a restare un sogno, perché lo Stato dovrebbe dettare condizioni ben precise e operare un reale controllo, cosa che attualmente non mi pare assolutamente in grado di fare. Se penso che si prende in considerazione l’ipotesi di far aprire nuovi casinò a quelli stessi che hanno ridotto i casinò italiani in questo stato… brrr rabbrividiamo! Vogliono solo nuove vacche da mungere fino a stremarle”.
I casinò esistenti sono spesso stati, anche recentemente, nel mirino dell’opinione pubblica e dei media per la loro mancata (o scarsa) redditività. È davvero così oppure è vero il contrario, quindi che sono stati e che continuano a essere dei bancomat?
“È vero ed è falso. Prendiamo Venezia, come dicevo in dieci anni gli incassi sono dimezzati (da 200 a 100 milioni di euro) e il saldo attivo è passato da un centinaio di milioni ai modestissimi 16 del 2014. Quindi sì, la redditività è crollata. Ma nel contempo non si può dire che sia in passivo, come si vorrebbe far credere e come tanta stampa supinamente riporta. E perché risultano in passivo? Proprio perché vengono usati come un bancomat da cui si attinge più di quanto c’è sul conto: se Venezia genera 16 milioni e il Comune se ne prende 25… certo che l’azienda va in passivo! Lo può capire anche un bambino. E lo capiscono bene i mala-gestori!”.
A Venezia si è discusso per anni dell’ipotesi di affidare a privati la gestione del Casinò. L’ingresso di privati nella gestione è davvero un fattore discriminante per il successo e la competitività di una Casa da gioco?
“No, direi che non avrebbe senso svendere un casinò come quello di Venezia dopo averlo spolpato, e del resto se l’asta è andata deserta… ci saranno pure dei motivi. La realtà è che – fatta la necessaria chiarezza – proprio dal personale bisogna ripartire, perché una rilevante parte del personale è depositario di inestimabili competenze e non aspetta altro che un'occasione per poterle mettere a frutto, per sentirsi parte di un progetto, per ricavarne soddisfazione intrinseca e non solo anacronistici privilegi. Conosco personalmente persone che sono state redarguite dalla dirigenza… perché lavoravano troppo bene, mettendo in cattiva luce colleghi e superiori. Eh sì, siamo ancora a questo punto!”.
I giochi tradizionali possono avere un futuro e come possono vedersela, i casinò, con la concorrenza esercitata da slot e Vlt pubbliche (è il caso di Venezia che sta registrando un calo proprio in questo settore)?
“Come dicevo, se fosse per me farei chiudere le sale slot… e i casinò credo che ne sarebbero ben contenti. Però dovrebbero esserci più casinò, alle condizioni ipotizzate. Un circolo vizioso, purtroppo”.
Come definirebbe lo stato di salute dei casinò esistenti e quali scenari pronostica?
“Sono casinò del passato e non mi sembra stiano proiettandosi nel futuro… ma vediamo cosa combina il nuovo consiglio di amministrazione del Casinò di Venezia. La speranza non è mai morta e noi continuiamo a far sentire la nostra voce. Vorrei concludere riprendendo ancora una volta le parole che Diego Cugia scriveva nel 1999 nel suo Alcatraz: ‘I casinò in Italia sono di una tristezza. Lo specchio del paese’. Oggi, se possibile, le cose sono peggiorate, i casinò italiani e il nostro paese sono diventati ancora più tristi”.

Articoli correlati